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Santa Caterina d’Alessandria

Seguace di Luteri Giovanni detto Dosso Dossi

(Tramuschio? 1487 ca - Ferrara 1542)

La tela di formato quadrato raffigura la santa Caterina d’Alessandria con la testa sovrastata da una pesante aureola riconoscibile grazie al suo tradizionale attributo, una ruota dentata con la quale doveva essere martirizzata ma che grazie alla forza della sua fede in Dio si spezza, sebbene venga poi uccisa con la decapitazione.

 


Scheda tecnica

Inventario
142
Posizione
Datazione
Seconda metà del XVI secolo
Tipologia
Periodo
Materia / Tecnica
olio su tela
Misure
cm 70 x 70
Provenienza

Inv. 1630 circa, attribuita a Giuseppino – Giuseppe Cesari, Cavalier d’Arpino (Corradini 1998); Manilli 1650, p. 97, attribuita ai Dossi; Inv. 1693, n. 250, attribuita a Leonardo da Vinci; Inv. 1790, st. IV, n. 21, attribuita a Caravaggio; Inventario fidecommissario Borghese 1833, p. 21, attribuita a Caravaggio; Acquisto dello Stato, 1902.

Mostre
  • 1984, Roma, Palazzo Venezia
  • 2009-2010, Kyoto, National Museum of Modern Art; Tokyo, Metropolitan Art Museum
Conservazione e Diagnostica
  • 1945 Carlo Matteucci
  • 1995, Emmebici (indagini diagnostiche)
  • 2009, Cecilia Bernardini (pellicola pittorica e cornice)
  • 2020, Erredicci (indagini diagnostiche)
  • 2020, Measure 3D di Danilo Salzano (laser scan 3D)
  • 2021, Ars Mensurae di Stefano Ridolfi (indagini diagnostiche)
  • 2021, IFAC-CNR (indagini diagnostiche)

Scheda

La tela, dall’insolito formato quadrato, raffigura la santa e martire Caterina d’Alessandria, dalla testa sovrastata da una pesante aureola e poggiata su una ruota mentre legge un libro.
Jacopo Manilli nella Villa Borghese fuori di Porta Pinciana edita nel 1650 riconosce nell’Appartamento a Tramontana «Sopra la porta della Loggia, il quadro d’un Vecchio fabro, con molte figure e vedute di campagne, è del Bassano vecchio. L’altro di S. Caterina Martire, è de i Dossi». Questa testimonianza consente di fornire una data sicura di presenza dell’opera all’interno della collezione Borghese. Il dipinto era probabilmente già nella raccolta del cardinale, così come Kristina Hermann Fiore ha individuato in una voce dell’inventario Borghese redatto tra il 1620 e il 1630 che descrive «Un quadro in tela di s.ta Caterina cornice nera et oro, alto 5 largo 4, copia di Gioseppino». Tuttavia, la forma rettangolare del dipinto presentato nel documento mal si combina con l’opera in analisi, la cui tela originale non risulta tagliata in nessuno dei lati. Per assonanza iconografica, il quadro sembrerebbe individuabile nell’inventario del 1693 alla voce «Sotto al detto un quadro in tela di tre palmi con una S. Caterina che tiene un libro in mano del N. 250 con cornice dorata di Leonardo de Vinci». In altri due inventari, quello databile al 1790 della quadreria nel palazzo di Campo Marzio e nel fidecommisso artistico della famiglia del 1833, l’opera viene attribuita a Caravaggio. Quest’ultima, singolare ed anomala paternità accomuna alcuni quadri ferraresi, primo tra tutti l’Apollo (olio su tela, 191 x 116 cm, inv. 1), anch’esso attribuito al Merisi.

A partire da queste prime citazioni inventariali e dai riferimenti presenti nelle fonti antiche si innesta l’ambivalente ed enigmatica fortuna critica di questo dipinto, che ancora non ha trovato una soluzione attribuzionistica universalmente riconosciuta attraverso ritrovamenti documentari certi.

Sembra utile partire dalla scheda dell’opera redatta da Paola della Pergola nel suo insuperato catalogo dei dipinti della Galleria Borghese edito nel 1955. Il primo elemento ad essere messo in evidenza è la mancanza di informazioni relative alla provenienza della tela, che la studiosa rintraccia per la prima volta nel testo di Manilli e la cui paternità a Dosso era stata restituita in tempi relativamente recenti da Roberto Longhi, dopo l’attribuzione a Caravaggio nell’inventario del 1790. Adolfo Venturi nel 1893, ponendo un prudente “attribuito” accanto al nome del Merisi, probabilmente dovuto anche all’allora fisica vicinanza di questo dipinto con il Ragazzo con la canestra di frutta (olio su tela, 70 x 67 cm, inv. 136) ricordata dal Cantalamessa nelle note manoscritte al catalogo della Galleria, definisce l’opera come una «copia ingrandita di una testa garofalesca», ponendo un interessante e corretto rapporto con la pittura ferrarese riscontrabile nella testa della Vergine presente nella Sacra conversazione di Benvenuto Tisi anch’essa conservata nel museo Borghese (olio su tavola, 62 x 82 cm, inv. 240). Paola della Pergola nota come questo piccolo dipinto riveli un rigore cromatico e una individualità artistica molto potenti rispetto all’opera con cui è stato posto a confronto.

In questa breve voce di catalogo, vengono riassunte tutte le proposte di attribuzione avanzate fino a quel momento dalla critica, partendo da Adolfo Venturi che ne Il Museo e la Galleria Borghese del 1893 censisce il dipinto nella terza stanza attribuendogli il numero 142 e avvicinandolo alla produzione del Garofalo, passando per Lionello Venturi, che nelle Note sulla Galleria Borghese del 1909 ribadisce l’attribuzione a Caravaggio, giungendo a Roberto Longhi, il quale nel suo contributo Precisioni nelle gallerie italiane. I, Galleria Borghese del 1927 vede nella Santa Caterina un’opera della maturità di Dosso Dossi.

A partire da quest’ultima osservazione longhiana, gli studi successivi si sono posti nell’ottica di analizzare questo dipinto come frutto della produzione dossesca degli ultimi anni. Così Amalia Mezzetti nella sua monografia sui due fratelli pittori descrive la piccola tela come caratterizzata da un forte plasticismo metallico e da crudi risalti di luce ed ombra, avvicinando queste caratteristiche luministiche a quelle riscontrabili nella figura della divinità stante presente nel dipinto Venere scopre la bellezza di Psiche (Roma, Galleria Borghese, olio su tela, 112 x 141,5 cm, inv. 304). Felton Gibbons non è della stessa opinione: nonostante le peculiarità disegnative dell’acconciatura e dei seni che avvicinano la figura al modus operandi del Parmigianino e i toni pallidi e lunari che lo pongono in dialogo diretto con l’altare di Sant’Andrea a Ferrara, ovvero con il Polittico Costabili oggi presso la Pinacoteca Nazionale dell’antica capitale estense (olio su tavola, 960 x 577 cm, invv. 189-194), i contorni della figura sono inusualmente precisi e il sorriso della donna appare simile ad una caricatura leonardesca, assimilabile alle fisionomie presenti nell’Allegoria di Ercole oggi alla Galleria degli Uffizi di Firenze (olio su tela, 143x144 cm, inv. Palatina 148). Queste osservazioni, accompagnate dalla finitura grassa, rendono plausibile l’ipotesi che la Santa Caterina sia un dipinto del periodo post-barocco copia di un originale di Dosso Dossi.

A ripercorrere in tempi più recenti le tracce di questa tela è Alessandro Ballarin, sia nella scheda dedicata al dipinto contenuta nel catalogo della mostra del 1993 Le siecle de Titien: l'âge d'or de la peinture a Venise, sia nella monumentale opera dedicata a Dosso Dossi. La pittura a Ferrara negli anni del Ducato di Alfonso I edita nei due anni successivi, dove nella scheda redatta da Vittoria Romani la Santa Caterina viene inserita nella produzione del maestro ferrarese intorno al 1530. 

Nel 1998, in occasione delle ricerche per la mostra monografica su Dosso Dossi curata da Peter Humfrey e Mauro Lucco, il dibattito sulla Santa Caterina riemerge in seguito alle indagini radiografiche effettuate sui dipinti del maestro ferrarese conservati nella Galleria Borghese e pubblicate da Anna Coliva. Secondo un incrocio di dati archivistici e radiografici, l’opera sarebbe da ascrivere al Cavalier d’Arpino, la cui tecnica pittorica sembrerebbe più vicina a quella utilizzata nella realizzazione di questa piccola tela rispetto al procedimento dossesco. Nella Ricevuta dei quadri del Cavalier Giuseppe Cesari d’Arpino fatta dal Card. Scipione Borghese del Guardarobba di Palazzo il 1 Agosto anno 1607 pubblicata da Aldo de Rinaldis nel 1936 ai numeri 1 e 6 sono presenti due dipinti raffiguranti una Santa Caterina, in cui Anna Coliva individua la possibile corrispondenza con la tela attribuita al maestro ferrarese. Sicuramente l’apporto delle analisi scientifiche ha fatto emergere una preparazione pittorica diversa da quella riconosciuta nei dipinti dosseschi antecedenti agli anni Trenta non solo per quanto concerne i pigmenti, ma anche per quanto riguarda l’estrema compattezza della stesura del colore, in particolare nella campitura ben definita del bianco di piombo sotto l’incarnato del viso.

Lara Scanu




Bibliografia
  • A. Venturi, Il Museo e la Galleria Borghese, Roma 1893, p. 100
  • L. Venturi, Note sulla Galleria Borghese, «L’arte», 12, 1909, pp. 31-50
  • R. Longhi, Precisioni nelle gallerie italiane. I, Galleria Borghese, in «Vita Artistica», II, 1927, pp. 28-31
  • A. de Rinaldis, Documenti per la storia della R. Galleria Borghese in Roma: I. le opere d’arte sequestrate al Cavalier d’Arpino, «Archivi», 2, 1936, pp. 110-118
  • A. de Rinaldis, Documenti inediti per la storia della R. Galleria Borghese in Roma: III. un catalogo della Quadreria Borghese nel palazzo a Campo Marzio, redatto nel 1760, in «Archivi», 2, 4, 1937, pp. 218-232, stanza IV, n. 21
  • A. Mezzetti, Il Dosso e Battista ferraresi, Ferrara 1965, pp. 47, 110, n° 155, fig. 78b
  • F. Gibbons, Dosso and Battista Dossi Court Painters at Ferrara, Princeton 1968, pp. 136-137, 197-198, n°57
  • A. Ballarin in Le siecle de Titien: l’âge d’or de la peinture a Venise, catalogo della mostra (Parigi, Grand Palais 9 marzo - 14 giugno 1993) a cura di G. Fage, Parigi, Réunion des Musées Nationaux, 1993, pp. 454-478 (474)
  • V. Romani, scheda 455 in Alessandro Ballarin, Dosso Dossi. La pittura a Ferrara negli anni del Ducato di Alfonso I, Cittadella (PD) 1994-1995, I, 2, p. 349
  • A. Coliva, Le opere di Dosso Dossi nella Collezione Borghese: precisazioni documentarie, iconografiche, e tecniche, in Dosso Dossi. Pittore di corte a Ferrara nel Rinascimento, catalogo della mostra (Ferrara, Civiche Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea, 26 settembre – 14 dicembre 1998; New York, The Metropolitan Museum of Art, 14 gennaio – 28 marzo 1999; Los Angeles, The J. Paul Getty Museum 27 aprile – 11 luglio 1999) a cura di P. Humphrey e M. Lucco, Ferrara 1998, pp. 72-81 (73-74)
  • A. Rothe, Appendice. Note tecniche sulle opere non in catalogo, in Dosso Dossi. Pittore di corte a Ferrara nel Rinascimento, catalogo della mostra (Ferrara, Civiche Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea, 26 settembre – 14 dicembre 1998; New York, The Metropolitan Museum of Art, 14 gennaio – 28 marzo 1999; Los Angeles, The J. Paul Getty Museum 27 aprile – 11 luglio 1999) a cura di P. Humphrey e M. Lucco, Ferrara 1998, pp. 283-287 (287)
  • K. Hermann Fiore, scheda 13 in Il museo senza confini. Dipinti ferraresi del Rinascimento nelle raccolte romane, a cura di J. Bentini e S. Guarino, Milano 2002, pp. 148-149