La testa virile colossale, dal doppio mento pronunciato e dagli occhi grandi sporgenti, bocca piccola con labbra carnose dischiuse, bassa fronte triangolare incorniciata da una folta massa di capelli mossi, originariamente fluenti ai lati del collo in lunghe ciocche è inserita su un busto muliebre moderno. Apparteneva originariamente a una statua di Apollo in veste di citaredo; il modello è noto attraverso numerose repliche e varianti diffuse in tutto il Mediterraneo, in cui la critica è generalmente concorde nel riconoscere l’opera dello scultore Timarchide I creata nel 179 a.C. quale statua di culto del tempio romano di Apollo in circo. Elementi tecnici e stilistici collocano l’esemplare Borghese in età antonina.
Collezione Borghese, citato nell’Inventario Fidecommissario Borghese 1833, C, p. 47, n. 93. Acquisto dello Stato, 1902.
L’Inventario del Fidecommesso Borghese del 1833 testimonia la presenza del busto in sala III già nel primo all’allestimento della nuova collezione: interpretato come testa muliebre “forse di Diana”, viene descritto dal Nibby come “Lucilla moglie di Lucio Vero”, mentre viene correttamente interpretato come volto virile dal Venturi.
La testa virile colossale, restaurata nella parte inferiore della capigliatura e in vari dettagli del viso, è caratterizzata da florida carnalità e rotondità, accentuate dal doppio mento pronunciato e dagli occhi grandi sporgenti con pupilla incisa in età moderna. La bocca piccola ha labbra carnose dischiuse da cui si intravedono i denti; la bassa fronte triangolare è incorniciata da una folta massa di capelli mossi, originariamente fluenti ai lati del collo in lunghe ciocche, ora spezzate. I tratti morbidi e femminei del volto – in cui è possibile riconoscere Apollo in veste di citaredo – hanno probabilmente indirizzato il restauratore moderno a inserire la testa su un busto muliebre.
La statua raffigurava originariamente un Apollo seminudo, stante sulla gamba destra, con indosso un mantello che copriva la metà inferiore del corpo; la testa era volta verso la cetra posata su un pilastro a destra, mentre il braccio destro era sollevato sul capo in atteggiamento di riposo. Il tipo è noto attraverso numerose repliche e varianti diffuse in tutto il Mediterraneo, tra cui quella da Cirene (British Museum, inv. 1871.7-25) che dà il nome alla serie. La critica è generalmente concorde nel vedervi “Apollo qui citharam tenet” opera neoattica dello scultore Timarchide I creata nel 179 a.C. quale statua di culto del tempio romano di Apollo in circo (Plinio, N.H. XXXIV, 34) in occasione del restauro dell’edificio voluto da M. Fulvio Nobiliore o M. Emilio Lepido, in cui si fondevano motivi della matura classicità, derivanti da opere di Agoracrito, Eufranor e Scopas, con l’esuberanza asiana. Non tutti gli studiosi, tuttavia, identificano la creazione dello scultore ateniese nell’Apollo tipo Cirene (es. Simon 1984, pp. 366-367 lo riconosce in un altro citaredo; Flashar 1992, p. 128 con nuova recensione delle repliche), mentre secondo altri, il modello sarebbe piuttosto una creazione di età antonina, vista la concentrazione delle repliche nel II sec. d.C. e la presenza del Typus Cirene in monete coniate sotto Commodo (Martin 1987, pp. 64-86; per una sintesi sulla storia degli studi si vd. Pafumi 2009; Ghisellini 2017).
La copia Borghese è affine, nel trattamento della chioma, all’esemplare dalla Collezione Farnese a Napoli (MANN, inv. 6262; Pafumi 2009); per entrambi la tecnica del trapano suggerisce una datazione all’età antonina.
Jessica Clementi