Attribuita nel 1833 a Francesco Vanni, tale nome è stato accolto dalla critica per gli indubbi spunti barocceschi, osservabili particolarmente nella figura del Bambino e nell’impiego di colori accesi.
Il dipinto rappresenta le nozze mistiche di Caterina da Siena che, in ginocchio e coronata da un serto di spine, sta ricevendo l'anello da parte del suo divino Sposo. Ad assistere alla scena, oltre alla Vergine, compaiono Francesco d'Assisi e Giovanni Evangelista, quest'ultimo raffigurato mentre mostra una coppa con un serpente, suo tipico attributo iconografico. Secondo la tradizione, infatti, il santo - obbligato a bere del vino infetto - tramutò miracolosamente il veleno contenuto nel calice in un viscido serpente.
Salvator Rosa, 109 x 89 x 8 cm
(?) Roma, collezione Ortensia Santacroce, 1612-1616 (cfr. Inventario 1642, n. 1 pubblicato da Della Pergola 1959, p. 56, n. 82); (?), Roma, collezione Borghese, 1650 (Manilli 1650, p. 88); Roma, collezione Borghese, 1693 (Inventario 1693, Stanza VIII, n. 9); Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 37. Acquisto dello Stato, 1902.
Secondo Paola Della Pergola (1959) il dipinto proviene dall’eredità di Ortensia Santacroce, moglie di Francesco Borghese, nel cui inventario – databile tra il 1612 e il 1616, anno della morte della nobildonna, e non al 1642, come erroneamente dedotto dalla studiosa da carte non datate (Della Pergola 1955, p. 156 – era elencato «Un quadro di S. Caterina, la Madonna, S. Francesco e S. Gio. Evangelista». Francesca Profili (2003), seguita da Belinda Granata (2005) e Marco Ciampolini (2010), ritiene invece che rientrasse nel gruppo di opere cedute dal cardinale Paolo Emilio Sfondrato a Scipione Borghese nel 1608 per assolvere al pagamento della pensione sul vescovado di Cremona.
Mentre sembra da escludere che la tela sia riconoscibile nell’unica opera di questo soggetto descritta nella villa pinciana in un passo di Iacomo Manilli (1650) – «Il quadretto dello Sposalizio di S. Caterina, viene stimato del Fattore» – poiché, come osserva Della Pergola (1959), l’attribuzione e la definizione «quadretto» non si attagliano alla tela in esame, è sicuro che questo Matrimonio sia quello segnalato con l’attribuzione ad Andrea del Sarto nell’inventario del 1693, come confermano sia l’indicazione delle misure e del supporto – «un quadro di 4 palmi in tela» – sia il riferimento al numero inventariale «88» tuttora visibile sulla tela in basso a destra.
L’opera fu assegnata per la prima volta al pittore senese Francesco Vanni negli elenchi fidecommissari del 1833, attribuzione condivisa da Giovanni Piancastelli (1891) e da Adolfo Venturi (1893), il quale, in particolare, individuò nell'immagine di Gesù l'influsso di Federico Barocci, un aspetto sottolineato anche da Della Pergola (1959), che evidenziò i toni rossastri accessi del volto e delle gambe del Bambino.
Avvicinata da Roberto Longhi (1928) – seguito da Elena Rita Mirolli (1932) ma non da Giuseppe Scavizzi (1959) – al catalogo di Ventura Salimbeni «per la gamma dei colori, più abbassata», la tela fu riportata nell’orbita di Vanni da Della Pergola (1959), convinta della sua appartenenza «ad un maestro assai vicino al Vanni, se non proprio al Vanni stesso». Tale pista è stata in seguito percorsa dalla critica (Profili 2003; Granata 2005; Granata, Vodret 2005; Ciampolini 2010), in particolare da Kristina Herrmann Fiore (in Siena e Roma 2005), la quale ha assegnato definitivamente il dipinto al pittore senese, datandolo al 1605-1610.
Due opere con lo stesso soggetto eseguite dal pittore si conservano presso il Göteborgs konstmuseum (A. Bagnoli, in Raccolta d’arte senese 2006, pp. 58-63) e la collezione del Monte dei Paschi di Siena (Siena, Palazzo Sansedoni; 1600 ca.). Quest'ultima, databile intorno al 1600, pur presentando alcune varianti a livello compositivo, in particolare nel paesaggio e nella figura in secondo piano, sembra condividere con l'esemplare Borghese una cronologia simile.