L'opera, documentata in collezione Borghese a partire dal 1693, rappresenta Cristo con le mani legate mentre guarda con profonda sofferenza verso l'osservatore. Il soggetto così raffigurato viene comunemente descritto come un Ecce Homo, espressione pronunciata, secondo la Vulgata, dal governatore romano Ponzio Pilato dopo aver mostrato ai Giudei il corpo flagellato di Gesù. Questa tavola, affine ai dipinti di analogo soggetto eseguiti da Sebastiano del Piombo, fu dipinta secondo la critica da un anonimo maestro, sensibile ai modelli espressivi e figurativi del pittore spagnolo Luis de Morales.
Salvator Rosa (cm 72 x 56 x 5,5)
Roma, collezione Borghese, 1693 (Inventario 1693, Stanza IV, n. 31; Della Pegola 1959); Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 35. Acquisto dello Stato, 1902.
La provenienza di questo dipinto rimane sconosciuta. Secondo Paola Della Pergola (1959) è probabile che appartenesse a Olimpia Aldobrandini nella cui collezione, in parte confluita in casa Borghese, erano presenti diverse opere raffiguranti questo soggetto.
La prima menzione certa di questa tavola risale al 1693, anno in cui compare nell’inventario del palazzo di città come «un quadro di 3 palmi in circa in tavola con un Ecce Homo ligato le mani con una corda del N° 493 cornice dorata. Incerto». Nel 1833, all’interno dell’inventario fidecommissario, è assegnata alla scuola di Paolo Veronese, attribuzione ripresa da Giovanni Piancastelli (1891) – che però parla erroneamente di tela – ma rivista da Adolfo Venturi (1893) che, oltre a ribadire il riferimento alla scuola veneziana, parlò di «copia, forse da un originale di Sebastiano del Piombo». Tale giudizio, ripetuto dalla critica (Della Pergola 1959; Herrmann Fiore 2006), fu in particolare riaffermato da Longhi che nel 1928 definì il dipinto «debole, insignificante derivazione da Sebastiano».
Nel 1959 Paola Della Pergola propose una nuova attribuzione, pubblicando la tavola come «maniera di Luis de Morales», leggendovi caratteri tipici del pittore spagnolo come il «misticismo dell’espressione» e la «luce argentea che compenetra il colore».