Galleria Borghese logo
Risultati della ricerca
X
Nessun risultato :(

Consigli per la tua ricerca:

  • I risultati del motore di ricerca si aggiornano istantaneamente non appena si modifica la chiave di ricerca.
  • Se hai inserito più di una parola, prova a semplificare la ricerca scrivendone solo una, in seguito si potranno aggiungere altre parole per filtrare i risultati.
  • Ometti parole con meno di 3 caratteri, ad esempio "il", "di", "la", perché non saranno incluse nella ricerca.
  • Non è necessario inserire accenti o maiuscole.
  • La ricerca di parole, anche se scritte parzialmente, includerà anche le diverse varianti esistenti in banca dati.
  • Se la tua ricerca non produce risultati, prova a scrivere solo i primi caratteri di una parola per vedere se esiste in banca dati.

Amor Sacro e Amor Profano

Vecellio Tiziano

(Pieve di Cadore 1488-90 - Venezia 1576)

L'opera, probabilmente ceduta nel 1608 dal cardinale Paolo Emilio Sfondrati a Scipione Borghese, costituisce un vero e proprio enigma interpretativo. Secondo la critica, fu dipinta da Tiziano intorno alla metà del secondo decennio del Cinquecento, commissionata dal veneziano Niccolò Aurelio, il cui stemma appare sulla fontana assieme a quello della moglie Laura Bagarotto.

La tela rappresenta due donne, ritratte ai lati di un antico sarcofago istoriato, su cui poggia un putto alato che con la mano rimesta l’acqua al suo interno. Questa figura, così come il soggetto del quadro, è fortemente connessa al tema dell’amore - qui espresso nella sua duplice natura, sacra e passionale - raffigurato allegoricamente dalle due figure femminili, simbolo dell’Amor sacro e dell'Amor profano. Tale dualità, presente anche nel paesaggio riprodotto sullo sfondo, è inoltre espressa sulla sinistra da una veduta montana e sulla destra da un villaggio lacustre.

Da sempre la ricchezza di questi simboli e di molti altri elementi iconografici ha spinto gli studiosi a cercare molteplici chiavi di lettura, fornendo nei secoli varie interpretazioni. Attualmente si tende a privilegiare il significato matrimoniale dell'opera, ossia l'esaltazione delle qualità della sposa perfetta, qui raffigurata splendidamente vestita nella sua dignità pubblica, ricca di attributi nuziali consoni al suo livello sociale, e al tempo stesso nuda e ardente di vero amore, quale dovrà apparire al suo sposo nella sfera del privato.


Scheda tecnica

Inventario
147
Posizione
Datazione
1515-1516
Tipologia
Periodo
Materia / Tecnica
olio su tela
Misure
cm 118x278
Cornice
Cornice ottocentesca con fregio d’acanto e intrecci di nodi in campo scuro.
Provenienza

(?) Roma, cardinale Paolo Emilio Sfondrati, ante 1608; (?) Roma, collezione Scipione Borghese, 1608 (Della Pergola 1955); (?) Roma, collezione Scipione Borghese, 1613 (Francucci 1613); Roma, collezione Scipione Borghese, 1620 ca. (Cappelletti 2014); (?) Roma, collezione Borghese, 1644 (Wethey 1975); Roma, collezione Borghese 1648 (Ridolfi 1648); Inventario 1693, Stanza V, n. 2; Inventario 1700, Stanza V, n. 2; Inventario Fidecommissario 1833, p. 12. Acquisto dello Stato, 1902.

Mostre
  • 1995 Roma, Palazzo delle Esposizioni.
Conservazione e Diagnostica
  • 1874 ("spianato il colore");
  • 1914 Tito Venturini Papari;
  • 1919 Tito Venturini Papari;
  • 1960-1961 Renato Massi (restauro della cornice);
  • 1978-1979 Ludovico Mucchi (radiografie);
  • 1990-1993 Anna Marcone con Rolando Dionisi (restauro), Paolo Spezzani, Lorenzo Lazzarini (indagini diagnostiche);
  • 1993 ENEA (indagini diagnostiche);
  • 1998 Anna Marcone (intervento manutentivo);
  • 2004 Laboratorio Soprintendenza (intervento manutentivo).

Scheda

Considerata l’assoluta mancanza di documenti relativi alla sua esecuzione e al suo ingresso nella raccolta Borghese, da sempre l’opera rappresenta un vero e proprio enigma da risolvere. Giunta a Roma in un momento imprecisato, sarebbe appartenuta al cardinale Paolo Emilio Sfondrati e da questi ceduta il 20 luglio 1608 a Scipione Borghese assieme ad altri settantuno dipinti di cui però non è stato ancora rintracciato l’elenco. Tale ipotesi, suggerita da Paola della Pergola (Eid. 1955) e adottata da quasi tutta la critica, rivela però diversi punti deboli, a partire dal documento di acquisto rogato a Roma nel 1608 che riferendosi ai settantadue quadri come opere 'dei principali pittori di questa città' (cfr. Orban 1920), sembrerebbe escludere qualsiasi collegamento con il dipinto veneziano.

Le varie ipotesi circa la provenienza e la presenza dell'opera in collezione Borghese sono state debitamente discusse da Sara Staccioli (1995) che non esclude né l'arrivo del dipinto da Ferrara in seguito alla devoluzione della città nel 1598, né che l'opera sia stata acquistata dopo la morte di Scipione avvenuta nel 1633. Inoltre, secondo la studiosa, solo a partire dal 1648, anno della pubblicazione de Le maraviglie dell'arte di Carlo Ridolfi, che l'Amor sacro e l'Amor profano è segnalato senza alcun dubbio presso la raccolta Borghese, mentre il poema di Scipione Francucci del 1613 e il diario di John Evelyn del 1644 farebbero sorgere ancora dei dubbi. Come spiegato dalla Staccioli (1995), se si leggono attentamente le rime del Francucci ci si accorge che la contrapposizione solitamente citata tra la "Beltà disornata" e la "Beltà ornata" è invece tra la "Beltà disornata" e la "Barbarica pompa", espressione tra l'altro da riferirsi alla Giuditta di Giovanni Baglione (Galleria Borghese, inv. 15) e non al quadro del cadorino. Lo stesso dicasi del racconto di John Evelyn, in cui lo scrittore scrive di aver ammirato nella 'Chamber of Nudities' due Veneri di Tiziano, riferendosi forse - a detta della studiosa - a due diverse composizioni del cadorino e non alle due donne ritratte nell'opera in esame come invece ha sempre sostenuto Wethey (1975).

Ad ogni modo, non c'è dubbio che a tale altezza il dipinto si trovasse già nella raccolta pinciana come ben documenta il cd. 'Taccuino italiano' di Antoon Van Dyck del 1620 ca. (Londra, The British Museum, 1957, 1214.207; sul soggiorno romano dell'artista cfr. Rangoni 2018) dove su un unico foglio l'artista tratteggiò velocemente due tele di Tiziano, ossia Venere che benda Amore sempre di collezione Borghese (inv. 170) e, con un inchiostro più scuro, l'Amor sacro e l'Amor profano (cfr. Cappelletti 2014).

Se i dubbi e le supposizioni sull'arrivo e la presenza del dipinto in casa Borghese sono sostanzialmente ancora numerosi, al contrario la critica è concorde nel ritenere che la tela sia stata eseguita dal Vecellio al termine della sua fase giovanile, intorno alla metà del secondo decennio del Cinquecento. Con ogni probabilità, infatti, il quadro fu commissionato nel 1515-16 (cfr. Lucco 2013) dal veneziano Niccolò Aurelio, segretario del Consiglio dei Dieci, in occasione del suo matrimonio con Laura Bagarotto, i cui stemmi compaiono rispettivamente sul fronte del sarcofago e sul fondo del bacile d’argento. Il riferimento a tale unione sarebbe inoltre espresso dalla fibbia e dalla coroncina di mirto indossati dalla fanciulla seduta a sinistra, chiari attributi dell’amore coniugale.

Come ampiamente dibattuto, il fulcro centrale della composizione è costituito dall’evidente contrapposizione delle due figure femminili fisionomicamente identiche: una vestita, in atto di guardare verso lo spettatore; l’altra nuda, che le si rivolge in atteggiamento di esortazione, ritratta con una lampada in mano, simbolo dell’ardore amoroso e attributo di Venere. Al centro, appoggiato sul bordo del sarcofago ornato da un fregio classico, appare Cupido che con la mano rimesta l’acqua al suo interno: con tale gesto, il dio rinnova ogni cosa, mutando ad esempio la morte in vita come sembra alludere la tomba qui utilizzata non a caso a mo' di fontana. Sullo sfondo, infine, si apre un vasto paesaggio tipicamente veneto, abitato da uomini e animali, caratterizzato da un borgo turrito sulla sinistra e da un villaggio che sorge su un lago sulla destra, ennesima contrapposizione a cui pare voglia partecipare anche la natura.

Sull’opera esistono diverse ipotesi interpretative, il cui numero ben esprime il complesso ed ermetico ambiente culturale vissuto da Tiziano, impregnato di quella cultura neoplatonica largamente diffusa nei circoli culturali veneziani e apprezzata dal Maestro grazie al legame con il poeta Pietro Bembo. In tal senso, la strada più autorevole è stata quella tracciata da Erwin Panofsky (1939) che interpretò Cupido come simbolo dell’unione tra cielo e terra e le due figure femminili quali allegorie della Venere ‘celeste’ e della Venera ‘terrena’; contrariamente invece a Edgar Wind che nel 1958 interpretò la donna vestita come Pulcritudo (la Bellezza) e quella nuda come Voluptas (il Piacere). Secondo altre interpretazioni, il soggetto rimanderebbe a Polìa e Venere, protagoniste del sogno di Polifilo raccontato nell’Hypnerotomachia di Francesco Colonna (Hourticq 1917); oppure a Venere e Medea, le cui vicende sono narrate nell’Argonautica di Valerio Flacco (Wickhoff 1895). Dal canto suo, Italo Palmarini (1902) fu il primo a tentare di identificare le due giovani donne con la bella ritratta nella Donna allo specchio del Museo del Louvre (Parigi, inv. 755) che secondo lo studioso sarebbe Laura Dianti, amante di Alfonso I d'Este, rappresentata nella versione Borghese sopra la cd. 'fonte d'Ardenna', una sorgente d'amore descritta da Matteo Maria Boiardo nell'Orlando innamorato. Al momento la critica tende a privilegiare il significato moraleggiante dell’opera, ossia l’esaltazione delle qualità della perfetta sposa, qui raffigurata splendidamente vestita nella sua dignità pubblica e al tempo stesso, nuda e ardente di vero amore per il proprio sposo.

Antonio Iommelli




Bibliografia
  • S. Francucci, La Galleria dell’illustrissimo e reverendissimo Signor Scipione Cardinale Borghese cantata da S. Francucci, Roma 1613, canto III, St. 164-181; canto VI, St. 362-403;
  • C. Ridolfi, Le maraviglie dell’arte, Venezia 1648, p. 257;
  • I. Manilli, Villa Borghese fuori di Porta Pinciana, Roma 1650, p. 82;
  • P. Rossini, Il Mercurio errante delle grandezze di Roma, tanto antiche che moderne, Roma 1693, p. 40;
  • D. Montelatici, Villa Borghese fuori di Porta Pinciana con l’ornamenti che si osservano nel di lei Palazzo, Roma 1700, p. 283;
  • M. Vasi, Itinerario istruttivo di Roma, II, Roma 1791, p. 380;
  • M. Vasi, Itinéraire, Paris 1792, p. 366;
  • A. Firmin-Didot, Alde Manuce et l’Hellenisme à Venice, Paris 1875;
  • G. B. Cavalcaselle, J.A. Crowe, Tiziano - La sua vita e i suoi tempi, I, Firenze 1877, p. 51;
  • W. Lübke, Geschichte der Italienischen Malerei, II, Stuttgart 1878, p. 530;
  • M. Thausing, Wiener Kunstbriefe, 1884, p. 325;
  • G. Lafenestre, La vie et l’oeuvre de Titien, Paris 1886, p. 27;
  • G. Piancastelli, Catalogo dei quadri della Galleria Borghese, in Archivio Galleria Borghese, 1891 p. 10;
  • A. Venturi, Il Museo e la Galleria Borghese, Roma 1893, p. 103;
  • F. Wickhoff, Giorgiones Bilder zu römischen Heldengedichten in "Jarbuch der Königlich Preussischen Kunstsammlungen", XVI, 1895, pp. 34-43;
  • G. Morelli, Della Pittura Italiana. Studi Storici Critici: Le Gallerie Borghese e Doria Pamphili in Roma, Milano 1897, pp. 240-241;
  • U. Gnoli, Amor sacro e amor profano?, in "Rassegna d’Arte", II, 1902, pp. 177-181;
  • I. M. Palmarini, Amor Sacro e Profano o La Fonte d’Ardenna?, in “Nuova Antologia”, I, 1902, p. 410 e ss.;
  • G. Gronau, Tizian, London 1904, p. 37;
  • L. Ozzola, Venere e Elena. L’amor sacro e l’amor profano in "L’Arte", IX, 1906, pp. 298-302;
  • O. von Gerstfeld, Venus und Violante in "Monatshefte fùr Kunstwissenschaft", III, 1910, pp. 365-376;
  • L. Venturi, Giorgione e il Giorgionismo, Milano 1913, p. 146;
  • L. Hourticq, La fontaine d’amour de Titien in "Gazette des Beaux-Arts", XIII, 1917, pp. 288–298;
  • A. Venturi, Storia dell’arte italiana. IX, 3, Milano 1928, p. 220;
  • L. Venturi, Italian Paintings in America, New York-Milano 1933, III, p. 525;
  • W. Suida, Tizian, Zürich 1933, pp. 28-29, 154;
  • H. Tietze, Tizian, Leben und Werk, I, Wien 1936, pp. 23, 26, 28, 32;
  • A. L. Mayer, Aurelio Nicolò: the Commisioner of Titian’s Sacred and Profane Love in "Art Bulletin", XXI, 1939, p. 89;
  • E. Panofsky, Studies in Iconology, New York 1939, pp. 60 e ss.;
  • G. C. Argan, L’Amor Sacro e l’Amor Profano di Tiziano Vecellio, Milano 1950;
  • H. Tietze, Titian Gemälde und Zeichnungen, Wien 1950, pp. 14, 15, 17, 394;
  • P. della Pergola, Giorgione, Milano 1955, pp. 40, 62;
  • P. della Pergola, Galleria Borghese, I Dipinti, I, Roma 1955, pp. 129-130, n. 233 (con bibl. precedente);
  • E. Wind, Pagan Mysteries in the Renaissance, New York 1958, pp. 76-78;
  • F. Valcanover, Tutta la pittura di Tiziano, II, Milano 1960, p. 48;
  • P. della Pergola, L’inventario Borghese del 1693, in “Arte Antica e Moderna”, XXVIII, 1964-1965, p. 456;
  • R. Pallucchini, Tiziano, I, Firenze 1969, pp. 180-181, 321-322;
  • E. Panofsky, Problems in Titian, mostly iconographic, New York 1969, pp. 129-137;
  • F. Valcanover, L’opera complete di Tiziano, Milano 1969, p. 131;
  • H. E. Wethey, The paintings of Titian, III, The Historical and Mythological paintings, London 1975, pp. 20-22, 175-179;
  • A. Gentili, Da Tiziano a Tiziano, mito e allegoria nella cultura veneziana del Cinquecento, Milano 1980;
  • M. L. Riccardi, L'Amor sacro e profano. Un ulteriore tentativo di sciogliere l'enigma, in "Notizie da Palazzo Albani", XV, 1986, pp. 38-43;
  • G. Robertson, Honour, Love and Truth. An Alternative reading of Titian's Sacred and Profane Love, in "Renaissance Studies", II, 1988, pp. 268-279;
  • R. Goffen, Titian's Sacred and Profane Love. Individuality and Sexuality in a Renaissance Marriage Picture, in "Studies of History of Art", XXV, 1993, pp. 121-144;
  • J. Dunkerton, Developments in colour and texture in Venetian painting of the early 16th century, in New interpretations of Venetian Renaissance Paintings, a cura F. Ames-Lewis, London 1994, p. 73;
  • A. M. Brignardello, Relazione di restauro in Tiziano. Amor sacro e Amor profano, catalogo della mostra (Roma, Palazzo delle Esposizioni, 1995), a cura di M.G. Bernardini, Roma 1995, pp. 443-447;
  • K. Herrmann-Fiore, Venera che benda Amore, in Tiziano. Amor sacro e Amor profano, a cura di
  • M. G. Bernardini, catalogo della mostra (Roma, Palazzo delle Esposizioni, 1995), a cura di M.G. Bernardini, Roma 1995, pp. 389-409;
  • K. Herrmann-Fiore, L’“Allegoria coniugale” di Tiziano del Louvre e le derivazioni, connesse con “Venere che benda Amore”, in Tiziano. Amor sacro e Amor profano, catalogo della mostra (Roma, Palazzo delle Esposizioni, 1995), a cura di M.G. Bernardini, Roma 1995, pp. 411-420;
  • Tiziano. Amor sacro e Amor profano, a cura di M.G. Bernardini, catalogo della mostra (Roma, Palazzo delle Esposizioni, 1995), a cura di M.G. Bernardini, Roma 1995 (con bibliografia precedente);
  • M. Lucco, Venezia 1500-1540, in La pittura del Veneto, I, a cura di M. Lucco, Milano 1996, pp. 79, 126;
  • R. Goffen, Titian’s Women, New Haven-London 1997, pp. 139-145;
  • E. Pedrocco, Tiziano, Milano 2000, p. 283;
  • P. Humfrey, Titian. The complete paintings, London 2007, p. 86;
  • A. Gentili, Tiziano, Milano 2012, pp. 255-256;
  • S. Zuffi, Tiziano. Amor sacro e Amor profano, Milano 2012;
  • M. Lucco, Tiziano dai succhi dei fiori al colore selvaggio, in Tiziano, catalogo della mostra (Roma, Scuderie del Quirinale, 2013), a cura di G.C.F. Villa, Milano 2013, pp. 62-64;
  • F. Cappelletti, Room of the Venuses, in Display of Art in the Roman palace, a cura di G. Feigenbaum, Los Angeles 2014, pp. 230-231;
  • H. Economopoulos, Le due Veneri pronube e l'apologia plutarchea del matrimonio nell'"Amor Sacro e Profano" di Tiziano, in Dall'iconologia al gender, giornata di studi (Roma, Accademia di Belle Arti, 2018), a cura di C. Barbieri, Roma 2018, pp. 61-109;
  • F. Rangoni, Anthony van Dyck and George Gage in Rome, in "The Burlington Magazine", CLX, 2018, p. 4.