Il riquadro musivo, esposto nel pavimento della sala VII insieme ad altri due simili, raffiguranti divinità marine, sembrerebbe essere pertinente ad una estesa pavimentazione in tessellato che doveva decorare un ambiente di una villa romana scoperta nel XVIII secolo nella tenuta Borghese di Castell’Arcione, sulla via Tiburtina. La figura, fortemente ritoccata da interventi di restauro, risulta di difficile interpretazione: potrebbe trattarsi di un personaggio del thiasos marino o della raffigurazione di Nereo. Si tratta di un volto maschile di età avanzata con il capo cinto da una ghirlanda di foglie. I capelli, resi da corte ciocche, si uniscono alla folta barba, suddivisa in due nella parte inferiore. L’espressione malinconica e rassegnata è sottolineata dalla forma degli occhi e dallo sguardo torvo. Sulla base dell’osservazione delle caratteristiche di stile, l’emblema si può far risalire al III secolo d.C.
Ipoteticamente ritenuto dalla Blake proveniente dal medesimo contesto dei due pannelli musivi della sala V rinvenuti nella tenuta Borghese di Castell’Arcione, sec. XVIII (Blake 1940, p. 117; Visconti, Lamberti 1796, p.38). Testimoniato per la prima volta nella villa da Visconti (1796, p.74). Acquisto dello Stato, 1902.
Il riquadro musivo ritrae un volto barbato maschile in età avanzata, su un fondo di tessere nere, delimitato da una cornice moderna. Il capo, con capelli biondi tendenti al grigio, è coronato da una ghirlanda di foglie di tessere grigio-verdi, tonalità simile a quella della barba, divisa nella parte inferiore in due grandi ciocche. Il volto è malmesso, con guance scavate, naso piatto e bocca dischiusa. Gli occhi, con l’estremità esterna rivolta verso il basso, mostrano un’espressione afflitta. Il ritratto sembra esprimere la malinconica tristezza della vecchiaia. L’esiguità del frammento antico, fortemente rimaneggiato da interventi di restauro, ne rende difficile l’interpretazione. La presenza, nella stessa sala VII, di altri due emblemata con divinità marine provenienti dal medesimo contesto, indurrebbe a identificare la figura con un personaggio del thiasos marino o con Nereo. Il dio è, infatti raffigurato nelle fonti con l’aspetto di un vecchio saggio; Esiodo racconta: “Il mare generò quindi Nereo, veritiero e nemico della menzogna, il più anziano di tutta la sua prole”(Esiodo, Theog., 233-235).
I tre mosaici sarebbero pertinenti, secondo l’interpretazione di Marion Elizabeth Blake, a un’unica ampia composizione pavimentale, insieme ai due, con scene di pesca, inseriti nel pavimento della sala V (Blake 1940, p.117). Questi ultimi dovevano decorare una villa romana rinvenuta nel XVIII secolo nella tenuta Borghese di Castell’Arcione, sulla via Tiburtina (Visconti, Lamberti 1796, p.38; Mari 1983, pp. 250-251, 258-260; Moreno, Sforzini 1987, p. 345).
I tre pannelli con divinità marine furono inseriti nella pavimentazione della sala nell’ambito degli interventi tardo settecenteschi avvenuti nel corso della grande ristrutturazione della palazzina diretta dall’architetto Antonio Asprucci (Visconti, Lamberti 1796, p.74). L’archeologa avanza inoltre l’ipotesi, basata soprattutto sulla presenza dello sfondo a contrasto nero e sulla dimensione irregolare delle tessere, che i pannelli richiamino la produzione musiva di epoca ellenistica, diffusa in Italia solo dal III secolo d.C., periodo al quale si può far risalire il mosaico in questione (Blake 1940, p.107).
Giulia Ciccarello