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Il dipinto è segnalato in Collezione dal Manilli nel 1650 con l'attribuzione al Garofalo, successivamente messa in discussione dalla critica. La fisionomia della Vergine denota le caratteristiche di un classicismo di stampo quasi accademico, derivante dall'elaborazione di modelli raffaelleschi attraverso la lezione formale di Lorenzo Costa e Boccaccio Boccaccino, presso la cui bottega il Garofalo inizia la propria attività
Collezione Borghese, Manilli 1650, p. 68; Inventario 1693, Stanza I, n. 35; Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 10. Acquisto dello Stato, 1902.
Mostre
1954, Roma
2008, Ferrara, Castello Estense
Conservazione e Diagnostica
1903, Luigi Bartolucci
1921, Tito Venturini Papari
1937, Carlo Matteucci
1977, Gianluigi Colalucci
2011, Nicoletta Naldoni
2011, Emmebi (indagini diagnostiche)
2020, Measure3D di Danilo Salzano (scansioni laser 3D)
2020, Erredicci (indagini diagnostiche)
2020, ArsMensurae di Stefano Ridolfi (indagini diagnostiche)
2020, IFAC- CNR (indagini diagnostiche)
Scheda
Questa composizione garofalesca, semplice e dall’intima connessione devozionale con l’osservatore-fedele grazie allo sguardo rivolto verso il riguardante, ha tutte le caratteristiche della prefigurazione della sorte di Salvator Mundi del Cristo, che sta giocando con il cardellino, simbolo della Passione di Gesù.
La prima attestazione di questo dipinto nella collezione Borghese è quella riportata da Jacopo Manilli (1650), che lo ricorda in un ambiente evidentemente destinato alla devozione privata del cardinale, seguita dall’annotazione inventariale del 1693, dove è menzionato come «Madonna con il Bambino, che tiene un uccelletto in mano del n. 367 in tavola cornice dorata del Garofalo».
L’autografia dell’opera è stata riconosciuta in modo quasi continuativo e la prima datazione proposta è quella del 1517 sulla base del confronto con la pala per la Pieve di San Valentino di Castellarano realizzata proprio in quell’anno (Venturi 1893; Longhi 1928; Della Pergola 1955). Ritenuta dal Berenson più genericamente giovanile (1907), venne successivamente accostata alla maniera di Boccaccio Boccaccino e proposta come anteriore al Nettuno e Minerva della Gemäldegalerie di Dresda realizzata nel 1512 (Gardner 1911; inv. Gal.-Nr. 132). La capacità di tenere insieme il colore giorgionesco, le anatomie raffaellesche e delle lontane reminiscenze del Boccaccino rendono quest’opera una delle più importanti tappe della trasformazione del linguaggio garofalesco, confermerebbero la datazione proposta da Venturi (Herrmann Fiore 2002).
R. Longhi, Precisioni nelle gallerie italiane. Galleria Borghese, Roma 1928, p. 197
B. Berenson, Italian Pictures of Renaissance. A list of the Principal Artist and their Works with an Index of Places, Oxford 1932, p. 219
B. Berenson, Pitture italiane del Rinascimento: catalogo dei principali artisti e delle loro opere con un indice dei luoghi, Milano 1936, p. 188
P. Della Pergola, La Galleria Borghese. I Dipinti, I, Roma 1955, n. 56
B. Berenson, Italian Pictures of the Renaissance. Central Italian and North Italian Schools, I, London 1968, p. 157
A. M. Fioravanti Baraldi, Il Garofalo. Benvenuto Tisi pittore (c. 1476-1559), Rimini1993, p. 119, n. 45
A. Coliva, Galleria Borghese, Roma 1994, pp. 126-127
C. Stefani, in Galleria Borghese, a cura di P. Moreno e C. Stefani, Milano 2000, p. 255
K. Herrmann Fiore, in Il museo senza confini. Dipinti ferraresi del Rinascimento nelle raccolte romane, a cura di J. Bentini e S. Guarino, Milano2002, pp. 156-157, scheda 16
K. Hermann Fiore, Roma scopre un tesoro. Dalla Pinacoteca ai depositi, un museo che non ha più segreti, Roma 2006, p. 210
M. Danieli, scheda n. 21, in Garofalo. Pittore della Ferrara Estense, catalogo della mostra (Ferrara, Castello Estense, 5 aprile - 6 luglio 2008), a cura di T. Kustodieva, M. Lucco, Milano 2008, p. 155
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