Polittico ottocentesco dorato (cm 36,5 x 99 x 6)
Roma, collezione Borghese, 1693 (Inv. 1693, St. VII, n. 400; Della Pergola 1964); Inv. 1790, St. III, n. 44; Inventario Fidecommissario 1833, p. 23; Acquisto dello Stato, 1902.
La provenienza di questa tavola è ignota. L'opera, infatti, compare per la prima volta in casa Borghese nel 1693, citata nell'anticamera 'della Signora Principessa' come autografo di Giovanni Bellini, attribuzione ripresa nell'inventario del 1790 ma rivista nel 1833 a favore del Pordenone (Inv. Fid. 1833). Tale nome, precisato da Giovanni Piancastelli (1891) con quello di 'Bernardino Licinio', fu però scartato da Adolfo Venturi (1893) in favore di Vincenzo Catena, seguito diversi anni dopo da Roberto Longhi (1928) che dal canto suo vi intravide un pallido riflesso dei modi dei Bellini.
Ritenuto da alcuni un falso antico realizzato sul modello di un ritratto bellinesco (De Rinaldis 1937), il dipinto raffigura la testa di una donna che riprende alla lettera la figura in secondo piano visibile nel Compianto sul Cristo morto di Giovanni Bellini (Firenze, Gallerie degli Uffizi, inv. 1890, 943) e per questo ritenuto dalla critica una copia (cfr. Della Pergola 1955; Herrmann Fiore 2006).
Come ipotizzato da Paola della Pergola (Eid. 1955), che alla Testa in esame avvicina anche una Presentazione al tempio di Vincenzo dalle Destre (Venezia, Museo Correr, inv. 386) è probabile che la presente tavoletta sia stata realizzata guardando direttamente al Compianto degli Uffizi che a detta della studiosa si potrebbe riconoscere nel "Christo morto di Giovanni Bellini in Chiaroscuro, in Tavola, alto palmi 3" registrato nel 1682 tra i beni di Olimpia Aldobrandini. Se così fosse, questa Testa potrebbe essere stata replicata nei primi anni del XVIII secolo (come in effetti fu ipotizzato nel 1962 da Heinemann), forse in concomitanza della partenza del dipinto fiorentino dalla raccolta pinciana, in seguito documentato nelle raccolte di Alvise Mocenigo e da questi donato nel 1798 al Granduca Ferdinando III di Toscana (A. Paolucci, in Gli Uffizi 1979, p. 195).
Antonio Iommelli