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Tazza in porfido

Santi Paolo

(attivo a Roma seconda metà del sec. XVIII)

La grande tazza in porfido, con un orlo piuttosto estroflesso, poggiante su una importante base modanata, fu eseguita dallo scalpellino Paolo Santi per fare da pendant a un’altra, nello stesso materiale ma di epoca adrianea, già presente all’epoca nella Villa Pinciana. I mandati di pagamento consentono di datarne l’esecuzione tra il 1782 e il 1783 e di ricostruirne la lavorazione, che fu complicata dalla presenza di una crepa sul blocco di porfido utilizzato. Paolo Santi, apprezzato per la sua abilità nell’intaglio di materiali pregiati, risulta attivo in più occasioni per i Borghese nell’ultimo quarto del Settecento, al fianco dell’architetto Antonio Asprucci.


Scheda tecnica

Inventario
CLXIV
Posizione
Datazione
1782-1783
Tipologia
Periodo
Materia / Tecnica
porfido
Misure
40 x 90 cm
Provenienza
Eseguito per Marcantonio IV Borghese (ASV, AB, 5847, Filza dei Mandati 1782, n. 140; 8089, Registro dei Mandati 1781-1782, p. 308, n. 707, 6 novembre 1782; 5848, Filza dei

Scheda

Su una base circolare modanata, poggia l’ampia tazza con un orlo molto estroflesso terminante a listello. La linea semplice e l’utilizzo di poche modanature dalla volumetria piuttosto compatta accentua la levigatezza della superficie del manufatto, che lascia scorrere morbidamente la luce sulle sue diverse parti. 

La tazza in porfido fu eseguita tra il novembre 1782 e il marzo 1783 dallo scalpellino Paolo Santi per fare da pendant ad un’altra, antica, nello stesso materiale, come testimoniato dai pagamenti rinvenuti dal Faldi nella contabilità Borghese (Faldi 1954, pp. 60-61, docc. I-III). Il Santi ricevette 355 scudi per un lavoro che, nella minuziosa descrizione che accompagna il mandato di pagamento del saldo, datato 27 marzo 1783, risulta essere stato complicato dai difetti riscontrati nel blocco di porfido utilizzato per eseguirlo. L’architetto Antonio Asprucci scrive infatti che fu necessario incassare la tazza nel peperino per via di un pelo, ossia una crepa, che aveva inoltre comportato una lavorazione molto cauta per scongiurare il rischio di una rottura (Faldi 1954, p. 61, doc. III). L’architetto sembra voler evidenziare le capacità tecniche di quello che si delinea come uno dei suoi artigiani di fiducia, cui si era affidato anche per l’ammodernamento della grande urna porfirica antica tuttora conservata nella sala IV della Galleria (inv. CLXV) e per l’esecuzione, nel 1781, due anfore in pavonazzetto (inv. CIX a-b). La nota adombra anche una giustificazione per una lavorazione che forse era stata più lunga del previsto, “per il qual motivo vi è stato impiegato gran tempo” (Faldi 1954, p. 61, doc. III).

Il porfido rosso era un materiale considerato molto pregiato già nell’antichità. I Romani lo cavavano in Egitto e su decisione dell’imperatore Domiziano lo avevano riservato al solo utilizzo imperiale, per via della particolare colorazione a cui veniva riconosciuto un valore sacrale (Marchei 1997, p. 274, cat. 116). 

      Sonja Felici


Bibliografia