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Paesaggio con uomo col cane

Bottega di Castrucci Cosimo e Giovanni


Questo commesso, composto da diverse tipologie di diaspro - di Boemia, di Germania e di Siberia - è attestato in collezione Borghese a partire dal 1693, eseguito con buona probabilità sul finire del XVI secolo nella bottega di Cosimo e Giovanni Castrucci. Rappresenta un paesaggio montano, con una rocca e un piccolo gruppo di case, in cui è raffigurato un uomo col cane.


Scheda tecnica

Inventario
505
Posizione
Datazione
fine XVI secolo
Tipologia
Periodo
Materia / Tecnica
Commesso di pietre dure su pietra (diaspro di Boemia, di Germania e di Siberia)
Misure
cm 15 x 9.5
Cornice

Cornice settecentesca (cm 13 x 18,5 x 2,5)

Provenienza

Roma, collezione Borghese, 1693 (Inv. 1693, St. XI, nn. 67 e 108); Inv., 1790, St. VII, nn. 35 e 60; Inventario Fidecommissario 1833, pp. 26, 30; Acquisto dello Stato, 1902.

Iscrizioni

Nell'angolo inferiore destro '267'.

Sul retro dell'opera "Iscrizione Fidecommissaria 3 giugno 1834 nota ... Camera del Gabinetto n. Commesso di pietre dure di ... Galleria di Firenze".

Mostre
  • 1972 Roma, Galleria Borghese

Scheda

Questo commesso, insieme al Paesaggio con suonatore di zampogna (inv. 522), è con tutta probabilità da identificare con uno dei due quadretti "[...] di paese di gioie commesse", segnalato da Iacomo Manilli nel 1650 presso il casino di Porta Pinciana, dove l'opera fu vista dal raffinato poeta insieme ad altre due composizioni su pietra tuttora conservate in collezione Borghese (La Terra Promessa, inv. 494; Il Sacrificio di Isacco, inv. 490).

Ancora incerta è la sua data d'ingresso nella nobile raccolta. Secondo Paola della Pergola (1959), la formella fu acquistata nel 1634 dal principe Marcantonio Borghese che, per il tramite del suo guardarobiere Domenico Baroncino, firmò diverse ricevute, entrando in possesso di quattro composizioni con 'pietre fini'. Tale ipotesi, accettata senza riserve dalla critica (Herrmann Fiore 2006), si rileva però alquanto debole poiché se da una parte i documenti citati dalla studiosa registrano senz'alcun dubbio l'interesse dei Borghese per queste raffinatissime composizioni, dall'altra sono discutibilmente avvicinabili all'opera in esame, mancando di una precisa e puntuale descrizione.

Tra l'altro, come giustamente osservato da Sara Staccioli (Ead. 1972), nel 1612 Scipione Borghese si interessava di 'certi fiori di pietre dure', giudicati 'cose rare' da Pietro Strozzi e da questi segnalati in una missiva al potente e ricco porporato, testimonianza che di fatto lascia ipotizzare l'ingresso di questa tipologia di manufatti nella collezione pinciana già ai tempi dell'avido e curioso cardinal nepote.

Quale che sia l'ipotesi più giusta, è certo che l'opera entrò in casa Borghese prima del 1693, anno in cui è inventariata nel palazzo di Ripetta col numero 267 tuttora visibile nell'angolo inferiore sinistro. La composizione, descritta come "un quadruccio bislongo alto mezzo palmo incirca in pietra con paesini con cornice negra. Incerto" (Inv. 1693; cfr. Della Pergola 1959), è da identificare con quella registrata nel 1790 come "Una delle prime opere in pietra dura, Galleria di Firenze" (Inv. 1790; cfr. Della Pergola 1959), annotazione che per la prima volta associa debitamente il manufatto Borghese all'ambiente artistico fiorentino. In effetti, al pari di altri commessi su pietra, sempre di collezione Borghese (invv. 491, 493, 522), anche questa formella mostra evidenti analogie con i manufatti prodotti nella bottega di Cosimo e Giovanni Castrucci, artisti fiorentini attivi alla corte di Rodolfo II di Praga a partire dal 1596 (si veda da ultimo Iommelli 2022). Tale attinenza, già suggerita da Sara Staccioli (Ead. 1972) per altre due formelle Borghese, è qui estesa all'opera in esame che però rispetto ai manufatti prodotti dai due maestri risulta più rozza nell'esecuzione e alquanto disordinata nell'accostamento delle tarsie, trattandosi forse di una delle loro prime esecuzioni come di fatto sottolineato dall'estensore dell'inventario settecentesco.

Come riferito dal Neumann e riportato dalla Staccioli (Neumann 1957; cfr. Staccioli 1972), questa composizione, molto vicina al Paesaggio con tre croci del Museo dell'Opificio delle Pietre Dure di Firenze, fu realizzata su un supporto in lavagna ricoperto da un sottile strato di mastice, su cui furono sapientemente applicati diversi tasselli di pietre dure, provenienti quasi esclusivamente dall'Europa centro-orientale ma largamente impiegati anche nelle officine medicee.

Antonio Iommelli




Bibliografia
  • X. Barbier de Montault, Les Musées et Galeries de Rome, Rome 1870, p. 357;
  • A. Venturi, Il Museo e la Galleria Borghese, Roma 1893, pp. 219-222;
  • C. Bulgari, Argentieri, gemmari e orafi d'Italia. Notizie storiche e raccolta dei loro contrassegni con la riproduzione grafica dei punzoni individuali e dei punzoni di stato, I, Roma 1958, p. 264 e ss.;
  • P. della Pergola, La Galleria Borghese. I Dipinti, II, Roma 1959, p. 34, n. 43; Neumann 1957
  • E. Neumann, Florentiner Mosaik aus Prag, «Jahrbuch aes Kunsthistorischen Sammlungen in Wien», LIII, 1957, pp. 185;
  • P. della Pergola, L’Inventario Borghese del 1693 (III), in “Arte Antica e Moderna”, XXX, 1965, p. 208;
  • S. Staccioli, in Opere in mosaico, intarsi e pietra paesina, catalogo della mostra (Roma, Galleria Borghese, 1971), a cura di S. Staccioli, Roma 1971, p. 21;
  • K. Herrmann Fiore, Galleria Borghese Roma scopre un tesoro. Dalla pinacoteca ai depositi un museo che non ha più segreti, San Giuliano Milanese 2006, p. 162;
  • A. Iommelli, 'Petrae volant, scripta manent': tracce di pietre in casa Borghese nel XVII secolo, in Meraviglie senza tempo. Pittura su pietra a Roma nel Seicento, catalogo della mostra (Roma, Galleria Borghese, 2022), a cura di F. Cappelletti, P. Cavazzini.