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La fuga di Enea da Troia

Barocci Federico

(Urbino 1535 ca. - 1612)

L’opera, firmata e datata 1598, fu ordinata al pittore da Giuliano Della Rovere, il quale probabilmente la donò al cardinale Scipione Borghese, nella cui raccolta è attestata fin dal 1613. Si tratta della seconda versione di un soggetto già affrontato da Barocci per la corte praghese di Rodolfo II d’Asburgo, unico tema profano (a parte i ritratti) che impegnò l’artista nell’arco della sua carriera interamente dedicata alla storia sacra. Della prima versione, eseguita intorno al 1586-1589, non rimane traccia ma è probabile che, almeno dal punto di vista compositivo, fosse molto vicina al dipinto Borghese. Nell’opera sono riconoscibili i riferimenti all’affresco dell’Incendio di Borgo di Raffaello (Stanze Vaticane) e, sullo sfondo, al Tempietto di San Pietro in Montorio del Bramante.

 


Scheda tecnica

Inventario
068
Posizione
Datazione
1598
Tipologia
Periodo
Materia / Tecnica
olio su tela
Misure
cm 179 x 253
Cornice

‘800 (con fregio loto/palmette) cm. 213 x 289,5

Provenienza

Collezione Scipione Borghese, 1613; Inv. 1693, St. I, n. 32; Inventario Fidecommissario 1833, p. 8, n. 21. Acquisto dello Stato, 1902.

Mostre
  • 1975 Bologna, Museo Civico
  • 1980 Tokyo, The National Museum of Western Art
  • 1990 Roma, Palazzo delle Esposizioni
  • 2000 Roma, Palazzo delle Esposizioni
  • 2009-2010 Siena, Complesso Museale di Santa Maria della Scala
  • 2012-2013 Saint Louis, Saint Louis Art Museum; Londra, National Gallery
  • 2015-2016 Roma, Museo Nazionale Romano; Roma, Palazzo Altemps
Conservazione e Diagnostica
  • 1951 Augusto Cecconi Principi
  • 1969 Oddo Verdinelli

Scheda

Il dipinto è la seconda versione dell’unico tema profano affrontato da Federico Barocci nell’arco della sua carriera di pittore di storie sacre, eccezion fatta per i ritratti. La prima Fuga di Enea da Troia, perduta, era destinata alla corte praghese di Rodolfo II d’Asburgo e, per espresso desiderio dell’imperatore, non doveva rappresentare “opere di devozione ma di altro gusto” (cit. in Emiliani 1975, p. 151; Id. 2008, p. 58). Essa fu eseguita intorno al 1586-1589 e rimase a Praga fino al 1648, per poi passare nella collezione della regina Cristina di Svezia e successivamente in quella degli Odescalchi a Bracciano. In seguito il dipinto appartenne al reggente di Francia Filippo d’Orléans, quindi giunse in Inghilterra e se ne persero le tracce (Olsen 1962, pp. 180-182).

Dopo circa un decennio dall’esecuzione del quadro praghese, Barocci dipinse questa seconda versione, firmata e datata “FED.BAR.URB. / FAC. MDXCVIII”, di cui Bellori (1672, pp. 192-193) riporta essere destinata a “Monsignor della Rovere, ed oggi si vede in Roma nel Giardino Borghese”.

Nel 1613 il poemetto di Scipione Francucci (St. 81-112) sulla collezione Borghese e il pagamento per la cornice ad Alberto Duranti (cit. in Della Pergola 1959, p. 217, n. 61) attestano la presenza del quadro nella raccolta del cardinale Scipione, il quale probabilmente lo ricevette in dono dallo stesso Giuliano Della Rovere.

Non è possibile stabilire con certezza quanto i due dipinti differissero tra loro, tuttavia è probabile ci fosse una sostanziale omogeneità nell’assetto compositivo delle figure e che, nell’eventualità di alcune variazioni, esse riguardassero principalmente lo sfondo. Quest’ultimo aspetto è suggerito dall’osservazione di un cartone preparatorio, oggi conservato al Louvre, ritenuto generalmente riferibile alla prima versione, dove il contesto architettonico è meno definito rispetto al dipinto Borghese. Tuttavia, non ci sono sufficienti elementi per stabilire l’esatta corrispondenza del cartone con il quadro praghese, la cui elaborazione finale potrebbe aver raggiunto un esito non distante dalla seconda versione anche nello sfondo (Emiliani 2008, p. 60. Sul cartone si veda Loisel 2009, pp. 343-344).

Il soggetto fu riprodotto da Agostino Carracci in un’incisione datata 1595, tre anni prima il completamento della versione Borghese a cui tuttavia è strettamente assimilabile, aspetto che ha suscitato un costante interesse da parte della critica. La certezza che l’incisione, per evidente incongruenza cronologica, non sia derivata dal secondo dipinto finito apre infatti due diversi scenari: il primo vede l’opera di Agostino come una riproduzione della versione praghese, sebbene non sia chiaro quale potrebbe essere stata la sua fonte, dato che l’opera partì per la corte degli Asburgo subito dopo il suo completamento. Questa ipotesi confermerebbe la sostanziale corrispondenza delle due versioni, seppur probabilmente con un’intonazione drammatica leggermente diversa (Emiliani 2000, p. 265).

Il secondo scenario contempla invece la possibilità che Agostino si sia servito di uno studio dettagliato del quadro Borghese, o che abbia avuto accesso a quest’ultimo quando era ancora incompleto (Baiardi 2009, pp.345-346).

La fonte utilizzata per l’incisione, forse fornita dallo stesso Barocci, potrebbe corrispondere al monocromo ritoccato a olio conservato a Windsor, già ritenuto di Agostino ma oggi ricondotto alla paternità dell’artista urbinate (A. Boesten-Stengel, Federico Barocci oder Agostino Carracci? Die Ölgrisaille der “Flucht aus Troja” in Windsor Castle; Zuschreibung und Funktion, in “Wallraf-Richartz-Jahrbuch”, LXII, 2001, pp. 223-260).

Non c’è dubbio che la diffusione della stampa di Agostino, di cui tra l’altro Barocci non si dimostrò soddisfatto, dovette contribuire in larga misura ad amplificare il successo di quest’opera “protobarocca”, che segna una linea diretta da Raffaello, di cui è evidente la citazione dall’Incendio di Borgo (Stanze Vaticane) nella figura di Enea che porta sulle spalle Anchise, a Bernini, autore, circa vent’anni dopo, del noto gruppo scultoreo di stesso soggetto (inv. CLXXXII) realizzato per Scipione Borghese, tuttora in Galleria (Emiliani 1975, p. 153; Id. 2008, pp. 58-60).

L’edificio visibile sullo sfondo è ispirato al Tempietto di San Pietro in Montorio del Bramante, di cui Barocci eseguì uno studio oggi agli Uffizi, ma rielaborato in chiave di tempio antico (Tosini 2009, p. 345).

La Fuga di Enea da Troia fu ampiamente apprezzata non solo per l’efficacia dell’impianto compositivo ma anche per le straordinarie qualità cromatiche. Per l’elaborazione del soggetto l’artista produsse un cospicuo numero di disegni, oggi conservati prevalentemente a Berlino, Firenze e Windsor (per alcuni di essi si veda Emiliani 1975, pp. 150-151; Bohn 2012, pp. 272-280).

Il volto di Anchise, di cui si conserva uno studio a Windsor, è sviluppato in una tipologia che ritorna anche in altre opere di Barocci, per esempio il San Gerolamo (inv. 403) in questa stessa Galleria (Emiliani 1975, p. 153; Id. 2008, p. 60).

Pier Ludovico Puddu




Bibliografia
  • S. Francucci, La Galleria dell’Illustrissimo e Reverendissimo Signor Scipione Cardinale Borghese cantata in versi [1613], Arezzo 1647, St. 81-112.
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  • F. Scannelli, Il microcosmo della pittura, Cesena 1657, II, pp. 196-197.
  • C.C. Malvasia, Felsina Pittrice, Bologna 1678, I, p. 90.
  • F. Baldinucci, Notizie de’ professori del disegno da Cimabue in qua, V, Firenze 1702, pp. 113-114.
  • G.P. Bellori, Le vite de’ pittori, scultori et architetti moderni, Roma 1672, pp. 115, 192-193.
  • J. Richardson, Traité de la Peinture divisé en trois tomes, Amsterdam, 1728, III, p. 305.
  • Titi, Descrizione di Roma (cfr. 1686) 1763, p. 398.
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