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La caccia di Diana

Zampieri Domenico detto Domenichino

(Bologna 1581 - Napoli 1641)

Commissionata per la villa di Frascati dal cardinale Pietro Aldobrandini, l’opera fu sottratta al Domenichino - trattenuto in prigione per alcuni giorni - dalla spietatezza collezionistica di Scipione Borghese. Infatti, nel 1617, a parziale risarcimento del singolare espediente persuasivo, furono pagati al pittore 150 scudi, pagamento riferito tuttavia a ben due opere dell’artista, esposti attualmente nella medesima sala: La caccia di Diana e la Sibilla (inv. 55).

Con fantasia narrativa, Domenichino rielabora e sintetizza lo stile dei celebri Baccanali di Tiziano, emulando la limpidezza di Raffaello e la sensualità del Correggio. Perni della composizione sono le due ninfe in primo piano: una rivela la calibrata impalcatura di piani diagonali, derivata dai Carracci, l’altra cerca lo sguardo dello spettatore, invitato ad ammirare la divinità, simbolo di castità e seduzione. Le altre fanciulle sono disposte ritmicamente intorno a Diana, rappresentata con l’arco in mano al culmine di una gara, immediatamente prima del castigo inflitto ai curiosi profanatori, nascosti tra i cespugli ma scoperti dal levriero in procinto di attaccarli.


Scheda tecnica

Inventario
053
Posizione
Datazione
1616-17
Tipologia
Periodo
Materia / Tecnica
olio su tela
Misure
cm 225x320
Cornice
Cornice ottocentesca decorata con palmette e foglie di loto.
Provenienza

Roma, Scipione Borghese, 1617 (Della Pergola 1955, p. 28); Inventario 1700, Stanza II, n. 1; Inventario 1790, Stanza II, n. 1; Inventario Didecommissario 1833, p. 8. Acquisto dello Stato, 1902.

Mostre
  • 1922 Firenze, Palazzo Pitti;
  • 1935 Parigi, Petit Palais;
  • 1985 Roma, Palazzo Venezia;
  • 1988-1989 Roma, Palazzo Venezia;
  • 1992 Roma, Palazzo delle Esposizioni;
  • 1994 Roma, Villa Medici;
  • 1996-1997 Roma, Palazzo Venezia;
  • 2000 Roma, Palazzo delle Esposizioni;
  • 2001 Londra, Royal Academy.
Conservazione e Diagnostica
  • 1804 (?) F. Popive (rifodero);
  • 1919-1920 Tito Venturini Papari (pulitura e verniciatura);
  • 1931-1933 Tito Venturini Papari (pulitura);
  • 1945 Carlo Matteucci (verniciatura);
  • 1994 Nicola Salini, Sandra Anahi Vanca (consolidamento, tela da rifodero, rimozione vernice, ridipinture, stuccature, verniciatura finale);
  • 1996 ENEA (indagini diagnostiche);
  • 1996-1997 Carlo Ceccotti (restauro completo della cornice);
  • 2001 Zari & Giantomassi (smontaggio vecchio telaio, pulitura, applicazione fasce di rinforzo, montaggio su nuovo telaio).

Scheda

Questa tela fu commissionata al pittore bolognese dal cardinale Pietro Aldobrandini, per il quale Domenichino stava lavorando al soffitto della chiesa di Santa Maria in Trastevere (1616-1617) e alla decorazione ad affresco nella villa di Frascati (1616-1618), dove l'opera sembra fosse destinata. Ma, per ordine del cardinale Scipione Borghese, il dipinto venne sottratto allo Zampieri, entrando a far parte - assieme alla Sibilla (inv. 55) - della ricca e superba collezione del potente prelato che, nell'aprile 1617 corrispose al bolognese - per entrambe le tele - la ridicola somma di 150 scudi.

A ricordarci questo episodio è il testo di Giovanni Battista Passeri, in cui si legge: "Onde il Cardinale Scipione Borghese, hauto aviso di questo bel quadro fatto da Domenico se n'invogliò, e gle lo fece chiedere da sua parte, et egli si scusò se non lo poteva servire, perchè l'haveva fatto per Cardinale Aldobrandini di suo ordine. Sdegnatosi Borghese di questo, mandò con violenza a levarglielo di casa, e non contento di questo, ordinò Domenico che fosse carcerato, e lo fece trattenere per alcuni giorni priogione" (1772, pp. 42-43). Come in effetti riportato dal biografo, dopo alcuni giorni trascorsi in carcere, Domenichino fu costretto a cedere la sua opera al cardinal nipote, ricevendo un compenso di soli 40 scudi, una somma incredibilmente bassa per un tale dipinto che, secondo la critica, rappresenterebbe il saldo e non il prezzo effettivo, corrisposto in parte al bolognese dal cardinale Aldobrandini, primo committente dell'opera.

Con grande maestria, Domenichino rielabora uno degli episodi narrato da Virgilio nel quinto capitolo dell'Eneide (vv. 485-518), in cui si legge di una competizione tra alcuni arcieri, amici di Enea, mossi dall'idea di uccidere una colomba, legata all'albero maestro della nave. Come ritratto nel quadro, furono scagliate tre frecce: la prima colpì un palo, la seconda il nastro, avvolto intorno alle zampe dell'uccello, la terza la colomba.

Emulando il quadro di Apelle (Kliemann 1996), il pittore immagina la gara tutta al femminile, raffigurando Diana al centro della scena e nello spazio circostante le sue ninfe, spiate nella loro intimità da due uomini, nascosti in un cespuglio all'estremità destra del quadro, il cui fare richiama alla mente il mito di Atteone, giovane cacciatore trasformato in un cervo e sbranato dai cani della terribile dea. A tale racconto sembrano infatti alludere alcuni particolari, come i due levrieri sulla destra e le ninfe immerse nell'acqua, tra le quali ammiriamo una bellissima fanciulla che con sguardo sensuale e accattivante invita lo spettatore a far parte di quel mondo surreale.

A suggerire questa scena al pittore bolognese fu probabilmente Giovanni Battista Agucchi (Kliemann 1996), segretario e maggiordomo del cardinale Aldobrandini che, come afferma Passeri, commissionò questa Caccia per la sua ricca galleria che comprendeva i celebri Baccanali di Giovanni Bellini, Tiziano Vecellio e Dosso Dossi, opere famosissime portate da Ferrara a Roma. Secondo la critica, inoltre, la scelta del soggetto ben si confaceva sia con l'ambiente naturale della villa, immersa nella splendida cornice dei colli tuscolani, sia con le storie di Diana, affrescate in quegli anni da Domenichino, sempre a Frascati.

Come indica la ricevuta di pagamento di 150 scudi, la tela - confiscata nell'aprile 1617 - fu principiata tra il 1615-1616, immediatamente dopo il dipinto con l'Angelo custode (Napoli, Museo di Capodimonte) - datato 1615 - come prova in effetti la veste di Diana che trova un perfetto riscontro con gli abiti del dipinto napoletano. Inoltre, come hanno chiarito gli studi di Kristina Hermann Fiore (1996), sia per la figura della dea che per le sue ninfe, il pittore prese a modello numerose sculture antiche - tra cui l'Afrodite Ludovisi - influenzato nell'uso dei colori e nel gioco delle ombre dalle cd. Nozze Aldobrandini.

Tra le molte copie di questa tela, si segnala quella dell'Academia de San Fernando di Madrid, dove si conservano anche alcuni fogli preparatori. Disegni autografi, eseguiti da Domenichino per questa raffinata Caccia, si ammirano presso la Biblioteca reale di Windsor Castle, resi noti da John Pope-Hennessy nel 1948; e a Williamstown (Massachussets College Museum of Art). Un'incisione dell'opera, dedicata al cardinale Giacomo Rospigliosi, fu eseguita tra il 1667-1684 da Giovanni Francesco Venturini.

  Antonio Iommelli




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