Text not translated yet Racchiuso in una fastosa cornice sostenuta da due draghi e sormontata da un'aquila, gli animali araldici della famiglia Borghese, il bassorilievo raffigura putti impegnati in giochi, lotte, bevute e danze, suggerendo un’analogia con i rituali dedicati a Bacco. Il Baccanale di putti è stato a lungo attribuito allo scultore fiammingo François Duquesnoy, fino al rinvenimento, a opera di Italo Faldi, nella contabilità di casa Borghese, di pagamenti datati 1649-1651 al pressoché ignoto Giovanni Campi. A completare il corpus delle opere conosciute di tale scultore sono due statuette di Cacciatori in pietra di paragone, con cui il Baccanale è stato sempre esposto nella Villa Pinciana, probabilmente in virtù dell’affinità dei materiali utilizzati.
Text not translated yet Collezione Borghese, 1649-50 (Faldi 1954, pp. 52-53, nn. I-IX); Inventario Fidecommissario Borghese, 1833, C, p. 51, n. 140; Acquisto dello Stato, 1902.
Exhibitions
2011-2012 Roma, Galleria Borghese
2015 Firenze, Museo degli Argenti-Museo di Storia Naturale
Commentary
Il bassorilievo raffigura sedici putti in pietra di paragone su fondo di lapislazzuli: alcuni, al centro, trascinano per le corna e sferzano un caprone, gli altri lottano, danzano, bevono e si arrampicano sugli alberi con un’animazione tipica dei cortei bacchici. La cornice, eseguita in lapislazzuli e bronzo dorato, è sostenuta da due draghi e sormontata da un'aquila, gli animali araldici della famiglia Borghese.A lungo attribuito allo scultore fiammingo François Duquesnoy (1594-1643), il bassorilievo è invece opera di Giovanni Campi, che ricevette in pagamento 180 scudi tra il 1649 e il 1651 per la sua esecuzione (Archivio Segreto Vaticano, Archivio Borghese, 5630, Filza 1649, n. 267; 8066 Registro dei Mandati, 1650-54, p. 13, n. 57; p. 29, 142; p. 50, n. 247; p. 67, n. 323; p. 95, n. 467; p. 104, n. 517; 5631 Filza dei mandati 1651, n. 234; 8066, p. 157, n. 234, in Faldi 1954, pp. 52-53, nn. I-IX). L'opera doveva essere già stata completata alla fine del 1650, dal momento che nel novembre di quell’anno ne veniva pagata la lucidatura finale (Faldi 1954, p. 53, n. VII). L’autore è noto e documentato solo per questa committenza e per quella di due Cacciatori (invv. CCLXXIV e CCLXXV), anch’essi eseguiti per i Borghese. Citato per la prima volta nel 1700 dalla guida di Montelatici come opera di François Duquesnoy, il Baccanale di putti era collocato nella sala VI, nella parete di fronte al Gladiatore, protetto da una teca di cristallo con cornici di legno di pero, e affiancato dalle due statuette di Cacciatori, anch’esse in pietra di paragone. Un accostamento dovuto probabilmente all'affinità dei materiali usati, dal momento che tematicamente le tre sculture non sarebbero accomunabili, e che esprime al meglio il gusto borghesiano per l’arredo ricco di opere eseguite in pietre policrome, spesso saggi di indiscusso virtuosismo esecutivo (Minozzi 2015, p. 351).Alla fine del Settecento il Baccanale fu trasferito, con i Cacciatori, nella sala III, dove era esposto insieme ai quattro vasi di Laboreur e Cardelli decorati con giochi di putti a simboleggiare le stagioni, stabilendo un paragone stilistico tra le opere (González-Palacios 1995, p. 545). Nel 1841 il bassorilievo è testimoniato di nuovo nella sala VI, dove tuttora si trova.Evidente è l'ispirazione tratta dal Campi dalle opere del Duquesnoy, dai cui numerosi modelli trae i diversi gruppi di putti raffigurati nel Baccanale (Boudon-Machuel 2005, p. 355, cat. R116); particolarmente stringente il confronto con il rilievo raffigurante L’Amor Sacro e l’Amor profano di Duquesnoy della Galleria Spada a Roma (Faldi 1954, p. 52). L’esecuzione in pietra di paragone ha però inasprito il tenero modellato che in Duquesnoy tradiva l’ispirazione tizianesca. Il Bellori, nella vita di Francesco Fiammingo (1672, p. 271), descrive un modello in terracotta per una composizione simile alla presente, con putti che trascinano per le corna e sferzano una capra, eseguita in porfido da Tommaso Fedele per il cardinale Francesco Barberini che ne fece dono a Filippo IV di Spagna e oggi dispersa: si trattava di un rilievo molto noto, di cui il Faldi ipotizzava questa potesse essere una replica.Nella scultura del Seicento quello dei putti era un genere a sé stante e un tema privilegiato nel dibattito artistico contemporaneo. Se da un lato era consuetudine per gli scultori esordire nell’esecuzione di queste figure, spesso marginali nelle opere pubbliche commissionate ai maestri, dall’altra molti collezionisti li richiedevano agli artisti come opere da collocare nei propri palazzi, più economici e meno impegnativi delle statue di maggiori dimensioni (Pierguidi 2012, p. 156).
Sonja Felici
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