L'opera, segnalata in collezione Borghese a partire dal 1650, è stata a lungo attribuita a Girolamo Muziano, nome rimasto invariato fino ai primi decenni del Novecento, quando fu rivisto in favore del pittore fiammingo Wenzel Cobergher. Rappresenta san Girolamo, Padre e Dottore della Chiesa, qui ritratto in preghiera davanti a un crocifisso in compagnia dell'inseparabile leone. Secondo la leggenda, infatti, il nobile eremita, ritiratosi in una grotta per attendere alla traduzione della Bibbia, curò il feroce animale, sfilandogli una dolorosa spina dalla zampa.
Salvator Rosa (cm 116 x 88 x 7,8)
Roma, collezione Borghese, 1650 (Manilli 1650); Inv. 1790, St. VII, n. 47; Inventario Fidecommissario 1833, p. 16; Acquisto dello Stato, 1902.
La provenienza di questo dipinto è tuttora ignota. Sebbene segnalato da Iacomo Manilli nel 1650 tra le prime opere della raccolta, al momento si ignorano le modalità del suo ingresso nel casino pinciano. Si potrebbe forse trattare di un dono destinato all'ambizioso Scipione, cui ben aderiva la figura di Girolamo, santo spesso raffigurato con l'abito rosso da cardinale, nonostante storicamente ciò non sia possibile.
Tradizionalmente assegnato a Girolamo Muziano (Inv. 1790; Inv. Fid. 1833; Piancastelli 1891; Venturi 1893), fu Roberto Longhi il primo ad accostarlo al pittore fiammingo Wenzel Cobergher ("Non del Muziano, ma di un manierista difficilmente determinabile, forse fiammingo; qualche rapporto con Venceslao Coebergher"; Longhi 1928), parere confermato da tutta la critica (Da Como 1930; Della Pergola 1959; Herrmann Fiore 2006) ma di recente messo in discussione da Patrizia Tosini (Tosini 2008).
Come espresso da molti studiosi (Faldi in Della Pergola 1959; Canatalamessa 1912; Della Pergola 1959), il San Girolamo Borghese mostra diversi tratti in comune con le figure di Bartholomäus Spranger, in particolare con l'impostazione e l'imponenza del San Giovanni eseguito dal pittore per la chiesa romana di San Giovanni in Oleo, nonché con le pose scultoree di alcuni suoi eroi tinti di una fredda sensualità. Di certo, la maniera michelangiolesca comune a molti artisti presenti a Roma nella seconda metà del XVI secolo fu una peculiarità di Cobergher, documentato nell'Urbe nel 1598-99 e nel 1603, rispettivamente dopo un fruttuoso soggiorno napoletano e poco prima della sua partenza per la corte dell'arciduca Alberto VII d'Asburgo e di sua moglie Isabella Clara Eugenia.
Una versione del dipinto, di dimensioni maggiori, si conserva nella Galleria Nazionale di Arte Antica di Roma, avvicinata da Patrizia Tosini (2008) all'anonimo autore di un San Girolamo penitente apparso sul mercato antiquario, artefice - secondo quanto espresso dalla studiosa - anche della presente tela.
Antonio Iommelli